Pensioni/ Ape social e volontaria, ecco le nuove critiche (ultime notizie)

- Lorenzo Torrisi

Riforma pensioni novità 2017: Ape social, Damiano chiede una posizione ufficiale al Governo. Le ultime notizie di oggi sui principali temi previdenziali

Poletti_Poltrona_Lapresse Giuliano Poletti (Lapresse)

Ancora si attendono i decreti attuativi sull’Ape, la principale novità della riforma delle pensioni. Marcello Pacifico torna però a evidenziare che “le agevolazioni pensionistiche dell’Ape Social, spettanti a chi svolge un lavoro usurante, andavano allargate e tutti i livelli d’insegnamento”. Infatti tra i lavori gravosi è incluso quello nelle scuole dell’infanzia, ma non altro tipo di attività nel mondo della scuola. Il Presidente nazionale dell’Anief, secondo quanto riporta Agenparl, ha anche espresso perplessità sull’Ape volontaria, dato che comporta una penalizzazione sugli assegni che può arrivare anche a 500 euro al mese per vent’anni: il tutto per andare in pensione con tre anni e mezzo di anticipo. Pacifico ha ricordato che già con il sistema contributo post-riforma Fornero le pensioni sono “già iper-penalizzate”.

Oggi Governo e sindacati tornano a incontrarsi per parlare di riforma delle pensioni e il focus sarà su Ape social e Quota 41, visto che ancora non sono arrivati i decreti attuativi per consentire la presentazione delle domande di accesso a questa misura di pensionamento anticipato. Cesare Damiano chiede quindi che il Governo prenda una posizione ufficiale e chiarisca che “si acquisirà con l’Ape sociale avrà decorrenza dal primo maggio 2017, ovviamente nel caso in cui il lavoratore abbia maturato i requisiti richiesti”. L’ex ministro del Lavoro sottolinea infatti che ci sono diversi italiani che sono preoccupati, visto che l’Inps non può ancora accogliere le loro domande in mancanza dei decreti attuativi, “causando un rilevante allarme sociale”. Per questo, una comunicazione ufficiale potrebbe senz’altro avere un effetto positivo, dando una certezza ai cittadini.

Sulla pagina Facebook del Comitato Opzione donna social, da tempo Orietta Armiliato ricorda l’importanza dei lavori di cura svolti da tante italiane, che dovrebbero essere valorizzati anche ai fini contributivi. Per questo ha prima aperto un dibattito, per capire quali soluzioni per raggiungere questo obiettivo potrebbero essere usate, e poi avviato un sondaggio per sapere se le appartenenti al Comitato sarebbero disposte ad avere un accesso alla pensione anticipato mediante una formula simile all’Ape. In particolare, per andare in pensione a 60 anni con 35 di contributi, piuttosto che con un sistema di quote in cui la somma del totale tra i due requisiti sia pari, al massimo, almeno a 98. La maggioranza delle risposte sono a favore di questa eventualità, ma non manca chi ritiene ingiusto dover subire una penalizzazione o chi vorrebbe la proroga di Opzione donna perché il traguardo dei 60 anni le appare troppo lontano e vorrebbe quindi andare in pensione a 57 anni.

Il fatto che non ci siano ancora decreti attuativi per l’Ape social, una delle novità della riforma delle pensioni, sta creando non pochi problemi ai potenziali beneficiari di questa misura. Un lavoratore precoci ha scritto infatti un post sulla pagina Facebook “Lavoratori precoci uniti a tutela dei propri diritti”, segnalando che il suo patronato gli ha detto che per accedere alla Quota 41 è necessario aver maturato i requisiti richiesti entro il 31 dicembre 2016, cosa che non aveva mai sentito fino ad allora. Ha quindi chiesto agli altri precoci se anche a loro risultasse questa “clausola” non di poco conto. Qualcuno ha risposto che i requisiti vanno maturati entro il 31 dicembre 2017, mentre c’è chi segnala che, a seconda del momento in cui si vorrà presentare, varrà come data di riferimento il 31 dicembre di quell’anno. Non c’è però certezza e non può che essere così finché non arriveranno i decreti attuativi, cui seguiranno le circolari operative dell’Inps. Solo allora si saprà in maniera certa come stanno realmente le cose.

Sabato la Cgil ha tenuto un’importante manifestazione a Roma, in cui Susanna Camusso ha parlato anche della riforma delle pensioni. Secondo quanto riporta Il Manifesto, dal palco la sindacalista ha spiegato che ci sono dei lavoratori che le chiedono “perché non ci adoperiamo per cancellare la legge Fornero. Dobbiamo assicurare una pensione di garanzia per i giovani, chiedere attenzione per i precoci e i lavori usuranti”. Secondo la leader della Cgil, sulla previdenza bisogna in effetti ripartire, perché “il governo non solo non riesce a fare i decreti ma non ha idee”. In questo senso gli obiettivi della Cgil sono chiari: “bisogna avere una pensione di garanzia per i giovani e dare una prospettiva a chi lavora da tanti anni e non ce la fa più”. Vedremo se nel nuovo incontro in settimana tra Governo e sindacati usciranno novità interessanti.

Nelle ultime settimane si è tornati a parlare della riforma delle pensioni dei politici, visto che in molti vorrebbe eliminare i vitalizi o quanto meno ridurli. Vincenzo Passerini, ospite dell’Arena di Giletti, ha voluto parlare della sua esperienza personale per dimostrare che rinunciare al vitalizio si può. L’ex consigliere regionale del Trentino-Alto Adige ha infatti spiegato che percepisce già una pensione da bibliotecario da 1.300 euro al mese e, non volendo essere servo dei soldi, ha deciso di rinunciare al vitalizio e a tutto l’ammontare dei contributi versati nella sua carriera politica, pari a circa 200.000 euro. Come ricorda ildolomiti.it, ha già chiesto al Presidente dell’assemblea regionale di devolvere l’importo a cinque organizzazioni che si occupano di poveri, disoccupati, anziani e richiedenti asilo. Dal suo punto di vista, quindi, non servono leggi particolari: se un politico vuole rinunciare ai privilegi può farlo.

Sul tavolo dei lavori parlamentari al settore “pensioni”, in attesa dell’avvio ufficiale dell’ultima fase della riforma, spunta anche il capitolo sulle pensioni integrative, nodo piuttosto importante visti i problemi avvenuti anche negli scorsi governi e piani previdenziali. Tra le ultime novità va segnalato come la pensione integrativa non dovrà rinunciare all’intero apporto del Trattamento di Fine Rapporto (Tfr) ma si potrà destinare al fondo pensione solo una parte minima, in base ai singoli accordi presi con l’azienda. Il tutto è inserito nel maxi emendamento del Governo al Ddl concorrenza approvato in Senato in questi ultimi giorni: di fatto, da oggi il lavoratore potrà decidere di destinare una sola percentuale di Tfr al fondo pensione complementare, lasciare poi il resto all’azienda per il più classico dei Trattamenti di Fine Rapporto. Ricordiamo che fino ad oggi invece il dipendente doveva decidere quando veniva assunto se destinare il proprio Tfr in azienda oppure se puntare su una pensione integrativa, scegliendo il fondo pensione nel quale far confluire nella sua totalità il Trattamento di Fine Rapporto. (agg. di Niccolò Magnani)

Se da un lato i decreti sull’Ape per la riforma pensioni sono tutt’altro che pronti e definiti, dall’altro alcuni elementi della cosiddetta Fase 2 in programma del governo sono conclusi e “pronti all’uso”. Due misure molto utili, e molto dibattute nel recente passato, sono collegate all’Ape volontario e riguardano la RITA e l’Ape aziendale: se per il primo punto prevede il contributo del datore di lavoro o dei vari fondi di solidarietà di settore per ridurre la penalità sulla pensione del lavoratore, sul secondo le discussioni sono state molto più continuate. La Rita riguarda la rendita integrativa temporanea anticipata, agganciata in un primo momento alla piattaforma certificati dell’Inps per l’Ape di mercato (e da qui sono sorti infatti i vari problemi e discussioni politiche e sindacali). Una parte del ritardo sull’Ape volontario e sulla riforma ultimata delle pensioni italiane, è dovuta certamente alla Rita, come spiega il portale PensioniOggi: «finchè l’Inps non sarà in grado di certificare il possesso dei requisiti per l’APE volontaria (63 anni di età, 20 anni di contributi, distanza dal pensionamento di vecchiaia non superiore a 3 anni e 7 mesi, e rata di pensione, al netto della rata di ammortamento dell’APE, non inferiore a 702 euro al mese) non si potrà neanche fruire della RITA». (agg. di Niccolò Magnani)

La riforma delle pensioni dei parlamentari diventa un tema su cui il Movimento 5 Stelle attacca Matteo Salvini, insieme a quello dei contributi pubblici ai partiti. Il leader della Lega Nord è stato infatti ospite dell’Arena di Giletti e per questo i pentastellati hanno voluto ricordare che il Carroccio che dal 1988 al 2013 ha avuto contributi statali per quasi 180 milioni di euro, “una cuccagna, sotto forma di finanziamento pubblico e rimborsi elettorali, durata oltre un quarto di secolo”. Il Movimento 5 Stelle ha poi voluto ricordare in una nota che “la Lega Nord ha sempre votato contro i nostri provvedimenti per l’abolizione del vitalizio, per il dimezzamento degli stipendi dei parlamentari e per il taglio delle pensioni d’oro”, e sarebbe dunque poco credibile la sua campagna contro i privilegi e i costi della politica.





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