Scuola

Tra i banchi sino ai 18 anni? Il mondo della scuola diviso: "Principio giusto, ma prima cambiamo la didattica"

Gavosto, della Fondazione Agnelli: "Sono più dell'idea che debbano essere gli studenti e le famiglie a trovare le motivazioni per arrivare al diploma"
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A scuola fino a 18 anni? “Bene in linea di principio, ma bisogna prima cambiare la didattica. Altrimenti non serve”. Così il mondo della scuola reagisce alla proposta della ministra Valeria Fedeli di alzare l'obbligo fino alla maggiore età. Il dibattito è aperto. I sindacati si dividono. I presidi frenano. E gli esperti sono cauti. “In un sistema scolastico immutato estendere l'obbligo non mi pare possa cambiare qualcosa, anche se il principio di alzare il livello delle competenze è giusto. Sono più dell'idea che debbano essere gli studenti e le famiglie a trovare le motivazioni per arrivare al diploma”, osserva Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli. “Occorre, per questo, soprattutto investire sui docenti e la loro formazione per modificare una didattica ancora troppo tradizionale, fatta di lezioni dalla cattedra, interrogazioni dal posto e compiti a casa”.

Il prolungamento dell'obbligo ai 18 anni potrebbe riguardare almeno i 70mila ragazzi “dispersi”. Tanti sono - e la stima del Miur è per difetto sul 2015-16 e 2016-17 - quelli che hanno abbandonato i banchi senza motivazioni nel passaggio degli anni dal primo al quarto delle superiori. Dentro c'è un po' di tutto: chi passa alla formazione professionale, ragazzini pluribocciati sino al compimento del sedicesimo anno. L'obiettivo della ministra Fedeli sta proprio nel costruire un sistema di istruzione più "rilevante", all'interno di un sistema che riguarda anche la sperimentazione sui licei a 4 anni, dove si aggancia l'età al conseguimento del titolo.

L'effetto di una simile misura è comunque difficile da misurare se non con l'aumento ovvio del tasso di scolarità che è passata dal 68,3% nel 1990 al 93,1% nel 2014, con il salto al 93% nel 2005-06. Per contro è diminuito l'abbandono. La dispersione scolastica era intorno al 20% nel 2006 ed è al 13,8% nel 2016 (fonte Eurostat). Un buon risultato ma ancora lontano dall'obiettivo europeo di Lisbona di arrivare al 10% nel 2020 e soprattutto che vede regioni del Sud con ben percentuali maggiori. Uno studio svedese (“The Sooner the better?”) rivela poi che un anno in più di scuola favorisce l'occupabilità e porta ad un aumento salariale del 2% per le donne.

Quello dell'innalzamento dell'obbligo scolastico è una storia che viene da lontano e che ha sempre visto la sinistra favorevole e la Dc, poi il centro destra sul fronte opposto. L'età dell'obbligo, che era a 11 anni, sale a 14 nel 1962, con la riforma della terza media. Nel 2006 l'allora ministro Beppe Fioroni porta l'obbligo a 16 anni. Undici anni dopo cosa è cambiato? "Il risultato rispetto alla dispersione scolastica è positivo, ma non sufficiente. L'abbandono è ancora troppo alto” osserva Luciano Benadusi, ex preside di Sociologia all'università La Sapienza. “L'obbligo ai 18 è cosa saggia, purchè non si arrivi alla licealizzazione universale. La scuola superiore dovrebbe rafforzare i canali tecnico professionali”.

La regione Emilia Romagna ha fatto da apripista con una riforma nel 2010 che ha portato i ragazzi, dopo le medie, a fare la formazione professionale nelle scuole almeno per il primo anno. “Un sistema integrato che, pur con tante difficoltà, ha diminuito la dispersione dal 13,7% all'11,3%”, spiega l'assessore Patrizio Bianchi. “L'obbligo va portato più in alto possibile ma bisogna ripensare i cicli scolastici e la formazione professionale con percorsi sempre più personalizzati, inclusivi, legati al mondo delle imprese”.

In Europa la maggior parte dei Paesi ha un obbligo scolastico fino a 16 anni d'età: è così per esempio in Spagna, Svezia, Regno Unito, Norvegia, Francia. L'asticella a 18 è nei sistemi scolastici di Belgio, Portogallo, Germania, Paesi Bassi. In Italia dunque la discussione è aperta, dopo i tentativi già fatti dal ministro Berlinguer e di recente dalla Giannini. “Scelta giusta, ma prima la ministra Fedeli deve avviare una riflessione sui cicli scolastici e sui bisogni reali della scuola”, dice il segretario Cgil Scuola, Francesco Sinopoli. Lo Snals è d'accordo. "Non è la priorità, sono più importanti i contenuti", frena Lena Gissi della Cisl scuola. L'Anief è netta: “Si può fare solo se si anticipa la scuola a 5 anni".
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