Per l'OCSE l'Italia è maglia nera in spesa per Istruzione e laureati

Pubblicato il 12/09/2017
Ultima modifica il 12/09/2017 alle ore 18:38
Teleborsa
Per l'OCSE l'Italia è maglia nera per spesa pubblica in istruzione e Neet, penultima come laureati. Lo rivela uno studio pubblicato oggi dall'Organizzaizone, da cui emerge che i soldi investiti nell'Istruzione tra il 2000 e il 2014 sono diminuiti del 9%. Inoltre, nello stesso periodo l'Italia ha dedicato solo il 4% del suo PIL all'istruzione (contro il 5,2% della media Ocse), con una riduzione del 7%. Come se non bastasse, il nostro Paese registra appena il 18% di laureati, contro il 37% della media nella zona Ocse, il dato più basso dopo quello del Messico. Come “ciliegina sulla torta”, abbiamo pure il record di giovani che non studiano né lavorano.

Per il sindacato della scuola Anief questo è il risultato di una "logica di risparmio, ma anche di una precisa scelta". Il sindacato aggiunge che l’Italia è anche l’unico Paese dell’Ocse che dal 1995 non ha potenziato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria a dispetto di un aumento in media del 62% degli altri. La tendenza al risparmio è storia vecchia: l’Italia già nel 2000 spendeva il 2,8% in meno della sua spesa pubblica rispetto alla media OCSE (Italia 9,8% - Ocse 12,6%). Dieci anni fa, la nostra Penisola era sempre all’ultimo posto.

"In Italia ci sono province dove più del 40% di giovani abbandona la scuola prima del tempo, perché si continua a pensare che gli incrementi per la formazione giovanile rappresentano un costo e non un investimento", sottolinea il leader del sindacato Marcello Pacifico, aggiungendo "addirittura, siamo arrivati ad alzare le barriere nelle Università pubbliche".

"È inutile ricordare ai nostri governanti che formare il capitale umano significa credere nella capacità evolutiva e lavorativa umana: lo sanno bene, ma remare contro questo obiettivo è una precisa scelta, che va oltre il risparmio dei soldi pubblici, sposandosi evidentemente con la necessità di tenere basso il livello culturale di quello che una volta chiamavano il Bel Paese", conclude il sindacalista.