Finanza

Scuola: sul tempo pieno, Italia a due velocità. Al Sud solo per un alunno su sei

La denuncia arriva dal sindacato Anief che invoca il supporto degli enti locali
Pubblicato il 02/10/2017
Ultima modifica il 02/10/2017 alle ore 19:20
Teleborsa
In Italia cresce il tempo pieno nella scuola primaria, con delle regioni, come la Lombardia, dove si è arrivati ad una adesione degli alunni e delle loro famiglie che ormai supera il 50% di iscritti: il Sud invece rimane ancora troppo indietro, perché al netto degli incrementi degli ultimi anni (si è passati dall'8,9% dell’anno scolastico 2009/10 al 16,1% del 2016/17), oggi un bambino su sei rimane ancora tagliato fuori. A dirlo è oggi Tuttoscuola, attraverso un dossier, che si sofferma anche sul decremento assoluto, su tutto il territorio nazionale, del tempo prolungato nelle scuole medie.   

Secondo il sindacato della scuola Aniefil gap è troppo alto per pensare che si tratti solo di una resistenza culturale. Quella delle famiglie è una scelta obbligata. Perché sono le scuole dell’infanzia e primarie e non offrire alcuna opportunità di tempo maggiorato di lezioni. Per potere organizzare il tempo piano, ovvero 40 ore settimanali, a fronte di 30 o anche meno, le strutture scolastiche debbono contare su un organico più ampio che non c’è. Ma ammesso anche che vi sia più personale, docente e ATA, servirebbero anche una serie di servizi a supporto finanziati e gestiti dai Comuni, ad iniziare dalla mensa per passare ai trasporti e alle utenze più impegnative.

"Il supporto degli enti locali è indispensabile per lo sviluppo del tempo pieno e per attuarlo occorrono risorse adeguate, mentre nell'ultimo decennio abbiamo assistito a continui tagli in osservanza ad una spending review che sta mettendo in ginocchio le scuole anche sul versante della sicurezza, tanto che i presidi che dirigono le scuole a rischio ne minacciano la chiusura" spiega Marcello Pacifico, Presidente Anief e segretario confederale Cisal. "Parallelamente, occorre adottare politiche scolastiche differenziate in base alle esigenze del territorio e alle tipologie di istituti. Ciò significa che laddove ci siano queste condizioni, ad esempio in scuole dove risulta alta la dispersione e il numero di abbandoni, la presenza di alunni stranieri o in condizioni disagiate, viceversa ridotta la presenza di agenti sociali e culturali nel territorio, occorre incrementare il numero di insegnanti e pure di personale ATA ed educativo a supporto. È evidente che in questo genere di realtà, occorre tornare alle compresenze, al fine di creare gruppi didattici per livelli", conclude Pacifico.

 


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