Terni, figlio disabile: «La nostra odissea»

Parla una madre ternana che nel 2012 iscrisse il figlio al ‘Leonino’: «Viste di tutti i colori. Disinteresse, ma la battaglia va avanti»

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di F.T.

Un’odissea lunga quasi cinque anni: è quella raccontata e vissuta sulla propria pelle da una famiglia di Terni, in particolare da una madre che nel 2012 iscrisse il proprio figlio affetto da una grave disabilità – lo chiameremo Marco, nome di fantasia – all’istituto Leonino di Terni.

L’inizio «Nel 2012 scelsi quella scuola, convinta non solo del progetto-ponte che gli avrebbe consentito di frequentare sia la materna che la prima elementare, ma anche e soprattutto della sensibilità di una realtà cattolica, in questo caso privata, paritaria e parificata, che uno immagina più attenta e scrupolosa di altre quando si ha a che fare con bambini in difficoltà».

Le ore di sostegno e la presenza di un operatore: questi i primi problemi, diventati poi veri e propri nodi, che la famiglia di Marco si trovò ad affrontare. «La scuola mise a disposizione inizialmente un numero del tutto insufficiente di ore di sostegno, 9 poi incrementate a 12 con il passare dei mesi. Al tempo stesso il Comune di Terni non garantì da subito la presenza di un operatore assistenziale. Dovetti battagliare non poco per ottenere quello che era ed è a tutti gli effetti un diritto, rappresentato dalla ‘concessione’ di un operatore, inizialmente soltanto per 5 ore alla settimana».

L’intervento e il ritorno a scuola Marco con il passare dei mesi e degli anni si impegna, va a scuola, viene promosso, cresce. Fino ad arrivare in 4° elementare – è l’anno scolastico 2015/2016 – ma ad ottobre del 2015 gli venne diagnosticata una seria patologia che richiese un delicato intervento chirurgico. Una volta operato, dopo circa un mese – a metà novembre – tornò in classe: «A quel punto feci presente all’istituto che, in quanto portatore di handicap grave, avrebbe avuto diritto a ciò che la legge 104 prevede: almeno 22 ore di sostegno e 10 con un operatore. La reazione dell’allora dirigenza fu tutt’altro che piacevole ma decisi di provare una strada diversa dai ricorsi, nella speranza che si sarebbero resi conto della situazione e di ciò che era ed è sancito dallo Stato come un diritto».

Confusione «Il gennaio seguente – racconta la madre – gli vennero assegnate di tanto in tanto maestre di sostegno diverse, nel tentativo di coprire le ore. Il risultato fu un alternarsi di sei diverse insegnanti, per un totale di undici docenti compresi quelli della classe. Un turbinìo incompatibile con il concetto di ‘continuità didattica’. Decisi comunque di attendere la fine dell’anno scolastico per poi mettere le cose in chiaro in vista del successivo».

La richiesta «Alla dirigenza feci così un discorso preciso: visto che, per legge, nel Piano educativo individualizzato (Pei) vanno indicate chiaramente le ore di sostegno, la scuola avrebbe dovuto fare una richiesta precisa all’Ufficio scolastico regionale, specificando il numero di alunni con disabilità certificati in base alla legge 104 e, per ciascuno, il numero di ore di sostegno riconosciute nel gruppo di lavoro. Ciò per evitare la completa discrezionalità dell’Ufficio stesso. Ma all’inizio dell’anno scolastico 2016/2017, ennesima amara sorpresa, la situazione era la stessa di prima».

La proposta e il ricorso «Dall’istituto – racconta la donna – mi dissero che l’Ufficio scolastico regionale non rispondeva alle richieste e avanzarono una proposta: visto che Marco nell’anno precedente aveva circa 12 ore di sostegno settimanali, il ‘Leonino’ si sarebbe fatto direttamente carico di portarle a 18. Io accettai ma, contemporaneamente, attraverso l’associazione Anief feci ricorso al Tar per ottenere le 22 ore previste per legge».

Il ‘taglio’ delle ore «Purtroppo l’istituto e i suoi vertici hanno vissuto con fastidio e disappunto questa mia decisione. Ad inizio gennaio del 2017, con il ricorso che intanto andava avanti, a Marco hanno tagliato di colpo 7 ore di sostegno, da 18 a 11 perchè – questa la spiegazione – “la scuola non può più permettersele”. Quando sono stata convocata, mi è stato detto che era “questione di budget, perché ci sono debiti e bisogna risparmiare”».

La lettera mai arrivata «Ho scritto così alla direzione per mettere tutto ‘nero su bianco’, la decurtazione delle ore di sostegno e le relative motivazioni. La mia lettera non è stata neppure protocollata e nell’ennesima convocazione, questa volta da parte del responsabile amministrativo, ci è stato detto che 11 ore di sostegno erano più che sufficienti “perché il bambino deve imparare ad interagire con i suoi compagni”».

La sentenza Poche settimane più tardi, è fine febbraio 2017, arriva la decisione del Tar dell’Umbria che riconosce a Marco non 22, bensì 24 ore di sostegno: primo caso in Italia relativo ad una scuola paritaria e parificata. «Il nostro avvocato a quel punto ha informato la scuola della decisione del tribunale ma senza ottenere risposte. Ad aprile sono andata a chiedere lumi, minacciando altre azioni legali se non si fossero messi in regola. Alla fine a maggio, ad anno scolastico praticamente concluso, sono arrivate cinque diverse insegnanti di sostegno tolte ad altre classi. Un ulteriore, l’ennesimo, motivo di discussione con i vertici dell’istituto».

L’ultima delusione «Nel frattempo – l’esperienza della donna e della sua famiglia con il ‘Leonino’ si avvia a conclusione – su consiglio della neuropsichiatra infantile che segue Marco, sono andata a parlare con le maestre per far rimanere mio figlio un altro anno in quinta elementare. A fronte delle sue difficoltà, ritenevo che passare subito in prima media, avrebbe potuto rappresentare un problema ulteriore. Mi era stato detto che la richiesta sarebbe stata portata all’attenzione del consiglio di classe. Contemporaneamente la neuropsichiatra ha scritto una lettera alla scuola spiegando perché, a suo giudizio, mio figlio sarebbe dovuto restare in quinta elementare. Poi a fine anno è arrivata la pagella: Marco promosso in prima media con tutti 8 e 9. L’ennesima presa in giro».

La battaglia prosegue «Ora mio figlio frequenta una scuola media a Terni, ha 18 ore di sostegno e 12 di operatore, è contento e sta bene. Ma la questione non può dirsi conclusa. Ho giò provveduto a relazionare il tutto alle autorità competenti – spiega la donna – ed ho anche informato il vescovo Piemontese su tutto ciò che è accaduto, anche se mi è stato spiegato che non ha poteri né segue direttamente le vicende dell’istituto. Finora, come in quest’ultimo caso, ho incontrato una sostanziale insensibilità alle problematiche di mio figlio e a quanto accadutoci. Ma la mia battaglia va avanti».

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