23 ottobre 2018 - 15:35

Da Harry Potter ai «legni» di Riace: la lotteria dei concorsi, il suk dei ricorsi

Dai maestri ai presidi, dai poliziotti ai futuri medici spesso nei concorsi pubblici capitano sgradevoli incidenti: domande imbarazzanti, plichi manomessi,errori tecnici. Così i ricorsi sono diventati un vero business. Per studi legali e sindacati

di Gianna Fregonara e Orsola Riva

Da Harry Potter ai «legni» di Riace: la lotteria dei concorsi, il suk dei ricorsi
shadow

«I Bronzi di Riace sono stati realizzati: a. in marmo; b. in legno; c. in bronzo». Immaginatevi la faccia di uno dei ventimila candidati all’ultimo concorso per 500 posti da funzionario del ministero dei Beni culturali quando, sfogliando la batteria di test preparatori predisposti dal Mibac, alla domanda numero 1.089 si è trovato di fronte a questo dilemma. E che dire della domanda su Albus Silente, sì proprio il preside di Hogwarts, che ha gettato nello smarrimento i 180 mila concorrenti a uno dei 1.148 posti per la scuola allievi di Polizia messi a bando a luglio dopo 19 anni di attesa? Come potevano immaginare, gli aspiranti Serpico, di doversi preparare leggendo la saga di Harry Potter? Di questi e altri incidenti è costellata la storia recente dei concorsi pubblici italiani. Ma, dietro il giochino fin troppo facile a scovare l’errore marchiano o la castroneria, si nasconde una realtà ben più grave. In Italia quasi non c’è concorso senza ricorso. Negli ultimi 5 anni si parla di 10 mila ricorsi — in parte collettivi — alla giustizia amministrativa: dal 2011 il sindacato Anief ha assistito 43 mila ricorrenti, spesso in cause da centinaia di persone. Così i concorsi pubblici — che secondo l’articolo 97 della Costituzione sono il metodo di selezione per accedere ai posti pubblici — sono diventati un ring dove la tutela degli interessi legittimi dei partecipanti finisce per bloccare il sistema, a volte anche a sproposito, in attesa che si risolva il contenzioso. Chi ha ragione e chi torto?

Il blackout al concorso presidi

Se il concorso del Mibac è andato avanti senza intoppi nonostante l’incidente della domanda sui bronzi di legno (o di marmo), quello per la Polizia è finito al Tar per la possibilità, anche solo in linea teorica, che vi fosse stata una violazione dell’anonimato. Per il nuovo concorso per 2.400 posti da preside già la sera stessa della prova preselettiva (luglio 2018) i siti degli studi specializzati invitavano a iscriversi a un’azione collettiva millantando una domanda scorretta. Passo falso, ma ci hanno riprovato dopo la pubblicazione dei risultati: perché prendere solo i primi 8.700 e non tutti coloro che hanno avuto almeno 60/100? Il Tar ha spento le loro speranze. Ma ora incombe un ricorso al Consiglio di Stato per un black out durante le prove in Campania: i 91 ricorrenti saranno alla fine «graziati» e ammessi alle prove purché non succeda come nel 2011? In Lombardia il concorso fu annullato una prima volta per l’utilizzo di buste trasparenti che avrebbero potuto compromettere l’indispensabile anonimato. Beffati, i vincitori furono costretti a ripetere la prova che fu annullata però una seconda volta nel 2015 per irregolarità nella nomina della commissione giudicatrice. Intanto a marzo 2014 i 355 nuovi dirigenti erano entrati in ruolo. Intervenne il governo Renzi inserendo nella Buona Scuola una clausola per consentire di tenerli al loro posto (insieme ai colleghi toscani in situazione analoga) a condizione che frequentassero un corso di formazione. Per evitare altri ricorsi, la disposizione incluse alcuni ricorrenti del 2004 e 2006 che all’epoca non avevano superato l’esame. Pronti, 800 bocciati al concorso 2011 hanno fatto ricorso pretendendo di essere assunti pure loro. Il caso è ancora aperto.

Il pugile che sognava di fare il fisioterapista

Sono episodi che dimostrano come il sistema sia fragile, le procedure incerte e i cavilli per appellarsi al giudice e tentare la sorte siano sovrapponibili alle istanze di chi invece pensa che i suoi interessi siano stati lesi da una procedura poco trasparente. Tanto che è nata una macchina dei ricorsi in serie assai remunerativa. Delle simil class action (questa forma di appello alla giustizia non esiste nel nostro sistema), che partono subito dopo la pubblicazione del bando o lo svolgimento della prova. «Il trucco sta nell’intervenire subito — spiega l’avvocato Michele Bonetti, specializzato nei ricorsi a raffica contro la pubblica amministrazione (negli ultimi anni ne ha patrocinati circa 400 l’anno) —. Nel concorso per la scuola di Polizia per esempio abbiamo dimostrato che lo strumento per misurare la massa grassa di alcuni concorrenti era mal tarato e abbiamo ottenuto la riammissione di tutti coloro che erano stati esclusi perché erroneamente bollati come “ciccioni”». Fra i tanti casi da lui patrocinati, lo «scattista» Bonetti ama ricordare quello del pugile di Ostia che aveva studiato come un matto per il test per la laurea in professioni sanitarie. «Bocciato, chiese l’accesso agli atti per vedere i compiti di chi aveva vinto. Gli chiesero mille euro, lui non li aveva e fece una pazzia: prese al volo il fascicolo e corse da me. Dimostrammo che più della metà dei vincitori avevano dato delle risposte sbagliate nella “brutta” poi corrette in “bella”... Una circostanza molto sospetta.... Oggi quel ragazzo è un ottimo fisioterapista».

La macchina dei ricorsi

Gli indirizzi mail degli insegnanti che ricorrono valgono oro per questi studi. Fare ricorso collettivo non costa tanto: dai 100 ai 500 euro, anche se le clausole accessorie possono poi portare a esborsi di migliaia di euro in caso di vittoria. Racconta Maddalena Gissi, segretario scuola della Cisl: «La macchina dei ricorsi incide ormai anche sulle relazioni sindacali: ci sono sigle che ti attirano proponendoti l’azione legale: se tutto finisce bene, ti chiedono d’iscriverti; alcuni dei nostri iscritti ora hanno la doppia tessera e quando si fanno i conti per le rappresentanze sindacali, i numeri non tornano più. Non solo, l’eccesso di ricorsi, quando non sono giustificati, rischia di distruggere tutto il sistema rendendo nei fatti inaffidabile questo metodo di reclutamento». Lo aveva già detto cinque anni fa l’allora ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza: «Purtroppo al Miur riceviamo ricorsi per ogni provvedimento. Serve un salto di qualità: bisogna semplificare le regole rendendole meno attaccabili e più eque, ma bisogna anche imparare ad accettare gli esiti dei concorsi, il ricorso non deve essere la soluzione». Un sentimento condiviso dai suoi successori. Sui ricorsi è nato effettivamente un vero sindacato che da gennaio si siederà ai tavoli di trattativa: l’Anief, guidato da Marcello Pacifico, nelle ultime elezioni delle rappresentanze ha fatto il boom. «Il nostro primo contenzioso risale al 2008, a Palermo. Vincemmo. Da allora abbiamo fatto ricorso per 4 concorsi della scuola, in tutto con noi si sono appellati 43 mila tra professori e presidi. Ne abbiamo vinti qualche migliaio, altri sono ancora pendenti, alcuni addirittura aspettano il giudizio della Corte Costituzionale». Anief ha quasi cento avvocati che collaborano, organizza corsi di aggiornamento sulle normative per la scuola e fa ricorsi a colpi di 500 professori per volta (si tratta di decine e decine di chili di carte). L’ultimo lo hanno tentato per 23 mila laureati esclusi dal bando per professore del 2018 ed è ancora pendente.

Il caso Medicina

Un discorso a parte merita la questione del test di Medicina. Da un lato i ricorsi sono diventati un mercato dove spesso è impossibile distinguere gli interessi violati e la furbata da suk. Dall’altro le sentenze del Tar vengono usate anche come testa d’ariete per scardinare il sistema dei corsi ad accesso programmato che gli studenti contestano in nome del diritto allo studio. Eppure, quando il governo ha annunciato l’abolizione del numero chiuso (salvo poi ritrattare), gli studenti si sono schierati con i rettori evocando il rischio di scassare l’università con decisioni unilaterali e affrettate. Troppo fresca la memoria del disastroso test del 2014 quando a causa di una serie di sciagurati incidenti (codici alfanumerici decrittabili, plichi manomessi) furono riammessi — sempre grazie ai buoni uffici dell’avvocato Bonetti — circa 5 mila candidati in più dei 10 mila posti in palio, col risultato che in alcune università le lezioni si dovevano seguire dal maxi schermo. E i poveri tapini che avevano passato il test si videro scavalcare dai «promossi via Tar». Un’ingiustizia bruciante ma anche la dimostrazione di un sistema che dovrebbe servire a premiare il merito, e invece fa acqua da tutte le parti. È quanto ha riconosciuto lo stesso ministro dell’Istruzione Marco Bussetti correggendo l’incauto annuncio sull’abolizione del test con la proposta di rivedere la prova d’accesso (niente domande a crocette per intenderci) aumentando, gradualmente, i posti disponibili per le matricole. Riuscirà a mettere a punto un sistema che sia almeno a prova di ricorso?
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT