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Gli industriali del Sud dalla Stefani «Federalismo, pronti a collaborare»

Albino Salmaso
2 minuti di lettura

padova. La Lega corregge la strategia sull’autonomia e il ministro Erika Stefani per aprire il dialogo con gli industriali del Sud ha ricevuto la delegazione dello Svimez. Nel faccia a faccia di un’ora, il presidente Adriano Giannola, il direttore Luca Bianchi e il professor Carmelo Petraglia hanno presentato le loro analisi tecnico-scientifiche sul tema del regionalismo differenziato. Incontro costruttivo perché Svimez ha ribadito la volontà di fornire un «supporto tecnico, indipendente e costruttivo sull'attuazione dell’art. 116 nella cornice di una piena attuazione del federalismo fiscale. Non vanno quindi alimentate contrapposizioni territoriali su un tema nazionale». Insomma, la polemica della secessione del “ricco nord” che abbandona il sud sembra sepolta per sempre. Tutti d’accordo, tranne il sindaco di Napoli De Magistris, convinto che sull’autonomia possa saltare il governo.

La svolta nasce dal trionfo alle urne della Lega. Salvini è consapevole che non basta l’accordo con il M5S largamente primo partito al Mezzogiorno, ma va costruita un’alleanza più vasta in Parlamento, con il Pd chiamato a rispettare il patto referendario e gli impegni con l’Emilia Romagna. Ieri, Nicola Zingaretti nella sua analisi del voto, ha chiuso la porta: «La proposta di autonomia della Lega spacca il Paese, è la vecchia destra che torna in modo nuovo e abbandona la solidarietà nazionale» ha detto il leader dem.

Il deputato veneto Roger De Menech corregge la rotta: «Zingaretti ha ragione, le proposte di Zaia e Fontana che chiedono tutte le 23 materie dell’articolo 116 non sta in piedi, per non parlare della proposta di trattenere i 9 decimi di tasse sul modello di Trento e Bolzano votata con una legge dal consiglio regionale del Veneto. Pura folla. L’unica strada da percorrere sul federalismo porta quindi a Bologna, dal presidente Bonaccini che ha negoziato 15 e non 23 materie, lasciando fuori tutto il capitolo scuola», conclude De Menech.

Che la vera mina vagante sia la devolution della scuola, lo conferma la Cgil: «Il premier Conte lo scorso 24 aprile ha firmato un’intesa con Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda in cui è scritto che l’autonomia differenziata in materia d’ istruzione non può essere applicata perché l’ordinamento è e rimane nazionale».

A chiedere il modello Trento e Bolzano è anche il Friuli Venezia Giulia, che sollecita maggiori competenze anche per l’università con l’assessore Rosolen. Ma l’analisi più completa arriva dall’Anief, che raggruppa gli insegnanti. «L’autonomia differenziata potrebbe coinvolgere subito un lavoratore della scuola su quattro. A questi dipendenti è vero che potrebbero arrivare circa 200 euro in più nello stipendio, intervenendo sul contratto integrativo, ma per ottenere i fondi non si potrà che attingere alle risorse generali togliendo disponibilità e servizi alle altre diciotto regioni, a partire dalle scuole del Sud», spiega il presidente Pacifico. «Per arrivare all’obiettivo con i docenti meglio retribuiti in Lombardia e Veneto, le risorse dell’Ufficio scolastico regionale e provinciale, oggi di Stato, trasferite alla Regione si dovranno creare quattro binari sui cui correranno i concorsi, le assunzioni e i precari ancora senza cattedra: la novità riguarderà sia i docenti di ruolo che quelli a tempo determinato».

In Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna lavorano 176 mila docenti, pari al 23% nazionale. Solo Lombardia e Veneto hanno chiesto le graduatorie parallele su base volontaria: significa che entro un anno dall'approvazione della legge un docente, un preside, un amministrativo potranno chiedere di essere trasferiti alla nuova scuola regionale. Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, non ha dubbi. «Il processo di autonomia differenziata condurrà verso la scuola “spezzatino” con la fine del sistema nazionale. Uno scenario che preoccupa e da evitare». —

Albino Salmaso

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