“Gli ultimi dati forniti dal ministero dell’Istruzione (quelli che compaiono nei Rav, Rapporti di autovalutazione degli istituti relativi al triennio 2019/2022) mostrano una partecipazione alla vita democratica delle scuole al minimo storico: meno di un genitore su dieci al voto nei licei, negli istituti tecnici e nei professionali; poco più di uno su 5 nel primo ciclo, scuole elementari e medie”.

Un articolo su laRepubblica.it fornisce un’informazione di grande interesse per provare a comprendere alcune dinamiche della scuola, oggi. Sul ruolo attivo svolto dai genitori, almeno a partire dall’inizio del nuovo secolo. Già, perché vent’anni fa, tra elementari e medie, a votare andava un genitore su tre, più di 13 su cento alle superiori. Un decremento, sostanziale. Che si acuisce considerando quel che accadeva nel 1989-90, quando erano quasi quattro su dieci nel primo ciclo e 16 su cento alla secondaria.

Possibile che mamma e/o papà abbiano smarrito interesse per dire la loro a scuola? Credibile che non approfittino dello spazio che il Dpr 416/74 gli ha concesso? Possibile che proprio i genitori non esercitino la possibilità di contribuire alla gestione della scuola “dando così ad essa il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica”?

Eppure i dati sono incontrovertibili. Anche se a dire la verità un po’ contraddittori. Se si pensa a quanto invece sia cresciuto negli anni il ruolo dei genitori all’interno della scuola. Di certo alle medie. Se ci si sofferma su quanto generalmente i genitori abbiano accresciuto il loro peso nelle vicende scolastiche dei figli. E’ la cronaca ad evidenziarlo. Se non l’esperienza diretta, magari attraverso il racconto di qualche insegnante.

Quanti i casi di genitori che certi del torto subito dal proprio figlio decidono di andare a chiedere spiegazione al docente, presunto colpevole? Oppure di rivolgersi direttamente al Dirigente scolastico? I motivi delle proteste, diversi. Un voto troppo basso a una interrogazione, magari a un compito scritto. Una nota a casa, come sul registro di classe, ritenuta ingiusta. La decisione di non sottoscrivere un Pdp di un alunno con bisogni educativi speciali. Fino a una bocciatura.

Motivi diversi, ma con un minimo comun denominatore: l’ingiustizia patita. Per colpa di qualcuno. Soprattutto un docente. Vere e proprie controversie, gestite con il piglio di chi ritiene che la ragione sia dalla propria parte. Controversie che neppure troppo di rado finiscono per essere giudicate dai Tribunali amministrativi.

Insomma sembra che i genitori non siano propriamente troppo presenti nelle occasioni deputate. Ma in compenso “si facciano sentire” quando decidono loro. Di persona, ovviamente. Oltre che attraverso i social.

“La contraddizione tra la scarsa partecipazione alle elezioni e l’elevata ‘pressione’ comunicativa esercitata sulle scuole, con conseguente incremento di contenzioso e di comportamenti opportunistici, è solo apparente”, sostiene Antonello Giannelli, a capo dell’Associazione Nazionale Presidi. “Come sindacato riteniamo che quelle norme abbiano fatto il loro tempo. Se erano anacronistiche già nel 2000, quando è stata avviata la scuola dell’autonomia, figuriamoci nell’era dei social media e dell’interattività permanente”, dice Marcello Pacifico, Presidente Nazionale Anief.

Quindi il problema sarebbe questo. Ancora prima che la consuetudine, ormai generalizzata e senza sostanziali differenze generazionali, ad utilizzare i social per dare sfogo verbale a ogni insofferenza. Il problema sarebbe l’inadeguatezza delle norme che regolano la partecipazione dei genitori alla vita scolastica. “Di riforma dei decreti delegati del 1974 si parla da vent’anni: prima durante il lungo mandato di Letizia Moratti, ma soprattutto nel 2015 con la Buona Scuola di Renzi. Solo che non se ne è mai fatto nulla”, spiega Pacifico. Che aggiunge come “da qualche anno c’è una commissione permanente al Miur che sta provando a capire quali sono le esigenze, ma siamo sempre nell’orbita dei progetti. La verità è che le modifiche servirebbero anche per andare a incrementare il potere decisionale dei docenti. I quali, dopo gli studenti, rimangono indiscutibilmente gli attori principali, con delicate responsabilità formative e docimologiche”.

Prima del 1974 i genitori non avevano alcun ruolo a scuola. A loro spettava altro. A partire dall’educazione. Poi, invece, con i decreti delegati mamma e/o papà sono entrati a scuola, ufficialmente. Con una rilevanza sempre maggiore. Fino a decidere di essere parte integrante della scuola. Una componente di un insieme sempre meno autorevole. Sempre più delegittimato.

E’ così che i ragazzi rischiano il naufragio. Troppo lontani da tutto. Dalla terraferma sulla quale vi sono dei genitori troppo spesso più fragili di loro. Ma anche dalla nave, lontana, sulla quale vi sono dei professori frequentemente privati della possibilità di avvicinarsi a quei ragazzi, per salvarli. Dal mare aperto, da se stessi ed anche da alcuni genitori.

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