ISTRUZIONE: Iniziare la scuola a 3 anni anziché 6, il Governo fa bene a provarci

Il progetto è quello di avviare delle convenzioni con lo Stato, in modo da garantire una quota per i bambini rimasti fuori dalle liste statali, che pagheranno parte della quota per la frequenza, mentre la parte rimanente sarà pagata dallo Stato. L’anticipo servirà anche a convincere quei genitori che non mandano per scelta i figli alla scuola d’infanzia. 

 

Una revisione dei cicli con anticipo dell’età scolare obbligatoria è una delle richieste storiche dell’Anief: in particolare, quella di anticipare la scuola almeno a 5 anni, con annualità ‘ponte’ da affidare a maestri della scuola dell’infanzia e primaria in contemporanea, e poi allungare l’obbligo formativo sino alla maggiore età. È chiaro che se l’idea del Governo dovesse andare in porto bisognerà adottare un aumento degli organici, anche del personale Ata.

Marcello Pacifico (residente nazionale Anief): “Considerando l’alto numero di abbandoni precoci degli studi e di ragazzi che non arrivano alla maturitàgli esiti delle ultime prove Invalsi in determinati istituti e territori, oltre che la scarsa percentuale di giovani che conseguono un diploma terziario, fa bene il Governo ad investire nella formazione anticipando l’età dell’entrata a scuola, poiché è scientificamente provato che produce effetti positivi nella formazione dei bambini. Per farlo al meglio, bisognerà predisporre organici del primo ciclo maggiorati e una formazione adeguata per il rinnovato percorso formativo. Allo stesso tempo, nell’ottica di una revisione dei cicli di studi, riteniamo che sia necessario innalzare l’obbligo formativo a diciotto anni, in modo da dotare gli studenti di quel bagaglio di competenze che potrà sostenerli nella ricerca di un lavoro di qualità e nella formazione universitaria”.

Il Governo ha in mente di rendere obbligatoria la scuola dell’infanzia: lo si apprende da un articolo del Messaggero, nel quale si riporta come l’esecutivo intenda muoversi per permettere a tutti i bambini dai 3 ai 6 anni di frequentare la scuola dell’infanzia. Una condizione, quella della frequenza della scuola dell’infanzia, invece spesso preclusa per mancanza di posti nelle scuole statali e per i costi non accessibili a tutti delle rette delle paritarie, alle quali sono iscritti 524.000 bambini a fronte dei 900.000 iscritti nelle statali.

L’articolo cita il viceministro Anna Ascani, la quale afferma: “È noto che i bambini che partono dalla scuola dell’infanzia hanno meno difficoltà negli studi ed escono meglio dal percorso formativo”. L’Italia – scrive Orizzonte Scuola – allo stato attuale copre questa fascia d’età con la scuola d’infanzia per il 95% ed è oltre il 70% della media europea di bambini frequentanti.

Anief accoglie con favore la decisione che sta prendendo il Governo di anticipare a tre anni la scuola dell’obbligo: il sindacato ha da tempo presentato formale proposta per l’anticipo dell’obbligo scolastico a 5 anni, introducendo una classe ‘ponte’ che preveda la compresenza dei maestri dell’infanzia con quelli della scuola primaria, all’interno di una rinnovata programmazione e organizzazione degli spazi d’aula. Il sindacato ha ribadito la necessità di procedere all’anticipo dell’età di avvio della scuola anche nell’ultima manovra di bilancio, assieme alla cancellazione degli organici di fatto, in modo da utilizzare il personale su posti effettivi e utili per le operazioni di mobilità e di reclutamento.

Tale nuovo modello formativo consentirebbe di valorizzare l’esperienza educativa dei bambini in più tenera età, collocandola in continuità con l’apprendimento del percorso di formazione successivo. All’interno di questo ambito, il sindacato è infatti convinto che occorra implementare il tempo scuola e gli organici del personale, poiché le attività scolastiche sono l’antidoto principale per combattere la passività giovanile, prologo della dispersione (con il Centro-Sud ancora a pagare il conto più salato) e del fenomeno dei Neet, di cui l’Italia detiene il non invidiabile record europeo, con punte da far paura in diverse aree del Sud, come pure confermato dal rapporto Svimez 2019 sull’economia e la società del Mezzogiorno.