l’ewpidemia
Coronavirus Milano, il primo contagio al San Raffaele: verifica sui contatti con medici e pazienti
L’uomo, 78 anni, era ricoverato da una settimana. In corso le procedure di controllo ma ogni reparto dell’ospedale resterà aperto. Il secondo caso all’ospedale di Melegnano
«La progressione è rapida, più veloce di quello che ci aspettavamo». Nel triangolo della cittadella istituzionale di Milano (grattacielo della Regione, palazzo del Comune, prefettura) una giornata di riunioni perpetue ruota intorno a questa consapevolezza. L’escalation: dal primo contagiato di giovedì notte, ai circa 50 di ieri sera (solo in Lombardia). Due giorni fa, la metropoli aveva guardato a 60 chilometri a Sudest, ai paesi del Lodigiano. La speranza era nella distanza. La reazione era stata il contenimento: «coprifuoco» per 10 Comuni e 50 mila persone. Ieri, è cambiata la mappa ed è mutato lo scenario: un contagiato dal coronavirus all’ospedale «San Raffaele» (uomo, 78 anni, residente a Sesto San Giovanni. Era ricoverato da una settimana e quindi ora sono al vaglio i contatti che può aver avuto con il personale e altri pazienti); l’altro contagiato è stato in un primo momento ricoverato all’ospedale di Vizzolo Predabissi (uomo, 71 anni, residente a Mediglia, e poi trasferito); un altro caso a Torino (ma si tratta di una persona che lavora in un’azienda di Cesano Boscone). Sono tutti Comuni della prima cintura, al confine con la città. La distribuzione geografica è decisiva: Milano è «accerchiata». E dunque, il tema diventa: iniziare a bloccare servizi, chiudere attività, fermare (e quanto) il sistema?
L’ospedale alle porte di Milano dove è stato scoperto il primo contagiato della città è entrato già da ieri sera in una situazione di massimo controllo: ovviamente non potrà essere chiuso alcun reparto, ma sarà necessario individuare medici e infermieri che sono entrati in contatto col malato. Se l’ospedale è rimasto aperto, le università lombarde hanno scelto di sospendere esami, lezioni e lauree. E questa posizione entra nel cuore del dilemma che stritola i tavoli delle istituzioni locali. Che ieri, per tutto il giorno, sono state assediate anche dalle richieste: direttori di teatri, cinema, manifestazioni fieristiche alzavano il telefono e ripetevano la stessa frase. «Chiudiamo o no?». Il prefetto Renato Saccone ha riunito l’assessore regionale Giulio Gallera, il sindaco Beppe Sala e i vertici delle forze dell’ordine. Il rappresentante del governo ha lavorato su una linea di equilibrio: «Non ci sono evidenze da farci pensare alla chiusura di servizi pubblici, ma noi siamo pronti e ci stiamo attrezzando per poter adottare tutti i provvedimenti necessari». Molto affidamento sulla responsabilità dei cittadini. Massima attenzione a valutare gli scenari e verificare la necessità di decisioni più drastiche. Sala ha annunciato di aver sospeso un concorso pubblico che avrebbe portato a Milano 3.500 candidati. «Continueremo a tenere aperti tutti i servizi e i nostri uffici», conclude in serata il sindaco.
Coronavirus, pazienti ricoverati all?ospedale «Luigi Sacco»
I punti fermi sono due. Milano è un «sistema»: non si può bloccarne solo una parte (trasporti, istruzione, logistica, commercio) senza avere ricadute sulle altre. Toccare una componente vitale dell’organismo vorrebbe dire comprometterlo tutto, o buona parte. E qui si arriva all’altro tema chiave: l’Italia è di fatto in recessione, bloccare Milano e la Lombardia a tempo indeterminato potrebbe avere conseguenze incalcolabili sul Paese. E allora si potrebbe intervenire su attività non necessarie, ad esempio l’intrattenimento: sport, spettacoli, manifestazioni pubbliche come il Carnevale. Ma tutte le decisioni potrebbero essere prese oggi, a seconda dell’evoluzione dei contagi. E anche delle assunzioni di responsabilità da parte della politica. Perché la Regione ha già studiato un piano di intervento su uno scenario di ampia diffusione del virus, ma proprio l’istituzione e la guida politica che hanno costruito la propria identità sull’autonomia, attende con ansia la «copertura» da Roma. È dunque scontato che qualcosa a Milano verrà chiuso, sulla linea di mitigazione e contenimento del rischio. Anche perché oggi la politica e le istituzioni si trovano a decidere senza avere a disposizione uno scenario fondato sull’evoluzione dell’epidemia.