Siamo entrati uguali dentro questa emergenza sanitaria. Incerti, fragili, impauriti. Ma uguali non lo siamo. Non lo siamo mai stati. Il coronavirus, a cui da giorni cerchiamo di dare una metafora per esorcizzarlo, assimilarlo o comprenderlo, ha avuto sulle nostre vite l’effetto di una formidabile lente di ingrandimento. Mette in luce virtù eccezionali che prima non avevamo notato, quelle degli operatori sanitari.

Ma anche miserie e benefici. Storie di ricchi e poveri, italiani e stranieri, delinquenti e persone per bene. È una fiaba, come quella con cui ci addormentavano da piccoli. C'era una volta, c'è ancora e ci sarà domani la diseguaglianza sociale.

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Scuola

Partiamo scuole. Le mura della scuola pubblica hanno da sempre avuto il privilegio di appiattire la condizione sociale di chi li abitava, gli studenti resi tutti uguali di fronte all’insegnamento. Le scuole resteranno chiuse a causa dell'emergenza Coronavirus. Lontano dai banchi ma non dalle lezioni, molte scuole si sono predisposte tra studenti ed insegnanti e continuare a svolgere il proprio lavoro la cosiddetta didattica a distanza.

Mentre il piano maturità arriva in queste ore sul tavolo della ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina: nessun bocciato e nessun esame scritto. Proprio nel palcoscenico della formazione primaria si mette in evidenza la prima diseguaglianza. Tra le famiglie con almeno un figlio con meno di 18 anni, tre su quattro non hanno un computer fisso; solo una su due ha un computer portatile; solo una su tre ha un tablet.

Il 25% non possiede la banda larga. La denuncia arriva da Anief (Associazione professionale sindacale). Al Sud i dati diventano ancora più alti. Lo spiega bene Marcello Pacifico presidente dell’Anief: “Il numero di famiglie che non hanno accesso ai pc e ad internet è molto più alto di quello che si pensi. Dai nostri calcoli, almeno un alunno ogni tre ha seri problemi di accesso alle lezioni e ai compiti impartiti dai docenti via web.

Qualche decina di milioni di euro assegnati qualche giorno fa con il decreto “Cura Italia”, per affrontare il problema, sostenendo gli studenti meno abbienti, con acquisti in comodato d’uso e dispositivi digitali individuali, può servire a tamponare la situazione e a portare a termine la fine del corrente anno scolastico, contrassegnato dal contagio del Coronavirus.

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Il problema del digital divide, però, necessita di ben altre risorse e progetti: è bene che il Governo riprenda in mano quel Piano nazionale di scuola digitale, uno dei pilastri della Buona Scuola, la Legge 107/2015, purtroppo mai decollato, e decida una volta per tutte di trovare le modalità per favorire l’accesso a tutte le famiglie italiane, nessuna esclusa, a quelle tecnologie moderne di cui non è possibile fare a meno”.

Il divario digitale colpisce anche il corpo docente: precari che percepiscono stipendi in ritardo, senza una rete di connessione stabile, senza un computer a disposizione e senza nemmeno poter accedere alla "carta del docente" per l’aggiornamento, da 500 euro l’anno, perché esclude i supplenti.

I dati, inoltre ci mettono come sempre di fronte alla tradizionale differenza tra Sud e Nord. In Trentino-Alto Adige e Lombardia, ad esempio, la percentuale di famiglie dotate di connessione con banda larga è vicina alla totalità; una realtà molto lontana da quella, ad esempio, di Molise e Calabria. E pure in Sicilia e Campania stiamo ben sotto la media. Tutte regioni, non a caso, del Sud.

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Riders

Ci sono anche loro. La vicenda dei riders che ci consentono di ricevere cibo e necessità forse non sempre necessarie di questi tempi, che oggi lo fanno senza garanzie sanitarie e che oggi come prima lo fanno senza quelle lavorative, può aiutarci a capire quanto il lavoro autonomo sia rimasto indifeso ed esposto, nel corso degli anni. E quanto sia ignorato oggi che avrebbe bisogno di ascolto.

I fattorini che in bici e in motorino consegnano a casa gli ordini sulle piattaforme on line, sono i nuovi operai senza tutele né garanzie. Lavoratori autonomi pagati a consegna. In Italia si stima che siano circa 20 mila. «Noi ci fermiamo. Invitiamo i rider ad astenersi dal servizio fino a tuttala durata delle ordinanze restrittive!», è l’eco del messaggio lanciato sui social da alcuni collettivi, tra cui Deliverance Milano, che chiedono a tutti i colleghi di interrompere l’attività visto che le misure di emergenza varate dal governo per contenere il contagio consentono di continuare a fare le consegne.

Il motivo è semplice le prescrizioni di sicurezza «non sono possibili da rispettare per le app del food delivery». «Sentiamo la necessità di dire che la nostra vita e la nostra salute valgono più di una pizza, di un sushi, di un panino», scrivono ancora invitando anche i«consumatori a non ordinare: pensiamo al necessario, alla nostra salute, alla nostra vita».

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Ma è una scelta di sopravvivenza: non consegnare significa non guadagnare niente. Un lavoro fatto a pezzi dalla mancanza di tutele e frantumato dalle posizioni di chi non può permettersi di incrociare le braccia. Proprio per questo la Cgil ha chiesto ammortizzatori sociali anche per questa categoria di lavoratori.

Asso delivery, l’associazione che riunisce le imprese del settore ha fornito alcune linee di sicurezza da rispettare. Ma le piattaforme considerano i fattorini lavoratori autonomi e quindi non forniscono guanti e mascherine. “Riteniamo la situazione molto grave e per noi fermare il contagio viene prima di qualsiasi altra cosa. Noi ci fermiamo”, sostiene anche Riders Union Bologna. C’è chi fa da sé: compra mascherina, guanti, amuchina.

La segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti lancia un monito ad Asso delivery: “Sollecitiamo con urgenza Asso delivery a dotare le migliaia di ciclo fattorini, che ancora continuano a svolgere attività di consegna a domicilio, degli strumenti di protezione individuale, altrimenti il servizio va sospeso. Al governo, invece, chiediamo ammortizzatori sociali e che l’attività venga ricondotta alle consegne di beni di prima necessità». I rider lavorano senza garanzie e tutele, ancora pagati a consegna e, nella maggior parte dei casi, non hanno neanche l’indennità di malattia.

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Camionisti

È vitale il ruolo degli autotrasportatori per la tenuta del Paese, sia dal punto di vista sanitario sia di quello economico. Si calcola che 90% delle merci in Italia viaggi su gomma e fra queste i generi alimentari, farmaci e presidi sanitari. Vitale, cioè che dà e mantiene la vita. Ma non quella degli autotrasportatori.” Ai camionisti e alle camioniste in viaggio per rifornire farmacie e negozi di generi alimentari in tutta Italia viene precluso anche l’uso dei bagni.

Sempre più aziende committenti, infatti, stanno affiggendo cartelli e inviando "circolari" alle imprese di autotrasporto per precisare che i loro servizi igienici sono off-limits per i trasportatori". Lo denuncia il vicepresidente di Conftrasporto-Confcommercio Paolo Uggè. "Molti autisti, una volta caricata o scaricata la merce, non possono nemmeno andarsi a lavare le mani, che è una delle prime misure prescritte in questi tempi: i committenti non glielo consentono”.

E poi, come sempre, la carenza di mascherine, introvabili per molte imprese anche se obbligatorie per la categoria.

Sex workers

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Nell’indifferenza diffusa quella dei sex workers resta una tra le categorie più colpite. Esistono ma il mondo come sempre ha deciso di non guardare, non vuole. Ci hanno pensato Pia Covre del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute e Leonardo Monaco, segretario di Certi Diritti.

"Perché nessuno resti indietro nella battaglia contro il Coronavirus è necessario avviare una stagione di dibattito e di partecipazione” dicono “Chiediamo, con un appello al Parlamento e al Governo che non vengano dimenticati i lavoratori e le lavoratrici sessuali. Dopo la fase delle risposte emergenziali serve garantire da subito la vitalità delle istituzioni democratiche: si renda conto delle scelte fatte finora e soprattutto si discuta per migliorare le condizioni di molte persone rimaste escluse dalle misure di sostegno finora emanate. Per contribuire come società civile a questo dibattito veniamo in sostegno con le nostre proposte”.

La proposta è quella dell'istituzione di misure di sostegno economico ai lavoratori sommersi del sex work, la regolarizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori sessuali migranti, misure per fronteggiare l'emergenza abitativa delle e dei sex worker (e più generalmente le categorie senza fissa dimora). L’iniziativa si lega all’appello dell’International Committee for the Rights of Sexworkers in Europe (ICRSE) e di TAMPEP, la rete europea per i diritti dei/delle sex worker migranti che chiedono ai governi di tutta Europa misure concrete per chi vede aggravata la propria condizione di marginalità nella società”. Escort Advisor, ha compilato un quadro.

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I dati che offre Escort Advisor, il primo sito di recensioni di escort in Europa, che cura l’Osservatorio sulla Prostituzione Online “EA Insights” ci dà l’immagine di un mercato che muore lentamente. I dati vengono raccolti ed elaborati attraverso il proprio motore di ricerca, che ogni giorno indicizza tutti gli annunci pubblicitari pubblicati sulle principali bacheche per escort. Una media di 8.500 annunci al giorno, fino ad arrivare un minimo di 6.500 registrato il 13 marzo scorso, il più basso toccato dal settore negli ultimi anni.

La regione più colpita dal calo di presenze è la Sardegna (-56%), seguita da Lombardia (-51%), Trentino-Alto Adige (-44%), Veneto(-42%), Toscana (-42%), Puglia (-40%), Campania (-40%), Lazio (-37%), Emilia Romagna (-36%), Piemonte (-34%). Le recensioni, invece, hanno subito un calo minore rispetto agli annunci. Basilicata (-35%), Veneto (-30%), Lombardia -28%, Trentino (-26%), Friuli (-24%), Lazio(-24%), Campania (-21%) sono le regioni in cui le recensioni sono diminuite maggiormente, mentre più blanda la situazione in Emilia Romagna (-12%), Puglia (-10%), Sardegna (-8%), Calabria (-8%), Toscana (-6%), Piemonte (-3%). La Liguria, invece, inverte la tendenza in positivo: +12%.

È un tema e sarebbe nella manica del governo affrontarlo dopo averlo per anni ignorato, avanzando scuse da pubblico decoro, che quasi sempre appena un comodo velo censorio per nascondere le questioni e girare la testa dall'altra parte. Il mercato dei corpi visibile nelle strade e nei quartieri, nelle forme del piccolo commercio di rione e di tangenziale non si è completamente arroccato, nonostante l’emergenza.

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Continua in casa come racconta a Il Tempo “Lory”, una sex worker che per tutelarsi e tranquillizzare i clienti pubblicizza: «All'ingresso ci sarà il controllo della temperatura con termoscanner”. “Misuro la febbre ai clienti», dice la donna sottolineando anche le difficoltà a pubblicizzarsi. “Ognuna fa come può. Se la prostituzione non viene legalizzata”

Sono problemi che esistono da tempo. Di diseguaglianza e invisibilità. La novità, oggi, come queste semplicissime storie raccontano, è che nell' indifferenza diffusa rischiano di rendere ancora più esplosiva questa bomba: sociale, economica, sanitaria che chiamiamo Coronavirus. Offrire un progetto per restituire un futuro al Paese non è ancora troppo tardi.