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Scuola, assunzioni ferme e 65 mila cattedre vuote: scatta la corsa ai supplenti

Graduatorie in alto mare, concorso unico e poco appeal per i posti al Nord. Preoccupazione nelle famiglie per mantenimento della distanza in aula

08/10/2020
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La Stampa

Paolo Baroni

ROMA. La promessa di 85 mila nuove assunzioni nella scuola fatta a fine agosto dal ministro Azzolina per far fronte all’emergenza Covid, come ampiamente previsto dai sindacati, si è risolta in un flop. A quattro settimane dall’apertura delle scuole, infatti, su 84.808 nuovi posti di insegnante, solamente 19.294 sono stati assegnati (in pratica appena 1 su 4), gli altri 65.514 risultano invece vacanti. E per questo verranno coperti come al solito da supplenti il cui esercito è destinato così ad ingrossarsi ulteriormente sino a sfondare il muro delle 250 mila unità su un organico complessivo di 800 mila persone.

La «regola del 5»
«Nulla di nuovo rispetto al passato», commentano prof e dirigenti scolastici che danno la colpa alle graduatorie esaurite e al fatto che quelle nuove elaborate su scala provinciale sono ancora in alto mare subissate da richieste di correzione e ricorsi «e ben 750 mila richieste di modifica dei dati immessi tanto da mandare in tilt l’intera macchina» come segnala il presidente dell’Anief (l’Associazione nazionale insegnati e formatori) Marcello Pacifico. A questo si aggiunge la decisione di non effettuare concorsi rapidi ma di organizzarne uno solo a fine ottobre e lo scarso appeal dei molti posti disponibili al Nord. Questo a causa della cosiddetta «regola del 5», introdotta dal governo per «garantire la continuità didattica», che obbliga i neoassunti a restare per 5 anni legati alla scuola di immissione in ruolo. Una scelta che per Pacifico rappresenta «un vincolo assurdo», tanto che «moltissimi docenti hanno preferito restare precari nella loro provincia anziché diventare di ruolo al Nord, lontano da mariti, mogli e figli e con uno stipendio che permetterebbe solo di sopravvivere a così grande distanza».

Precari in piazza il 14
Oltre a quello dei precari, tema sul quale tutti i sindacati di settore hanno promosso per mercoledì 14 una giornata nazionale di mobilitazione contestando la tempistica del nuovo “concorsone”, nelle scuole da metà settembre ci si deve misurare con tutti gli altri problemi legati alla pandemia. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio «Futura» della Cgil le criticità sono molte: tra le principali preoccupazioni indicate da genitori e insegnanti in cima alla lista col 43% delle risposte c’è ovviamente il mantenimento della distanza tra gli studenti (coi docenti più preoccupati della famiglie, rispettivamente 64 contro 38%), quindi il sovraffollamento dei mezzi pubblici (39%) e l’igienizzazione degli ambienti scolastici (21%).

Famiglie e prof si dividono

Dalle 2.002 interviste realizzate a settembre attraverso questionari autocompilati online su panel web, emerge poi una platea divisa tra chi auspicava una ripresa di tutte le lezioni in presenza (41%) e chi credeva che la soluzione migliore fosse una didattica mista, in aula e a distanza (44%). C’è poi un 15% degli interpellati che esprime preferenza per la sola didattica a distanza.

Quanto agli insegnanti, quelli della scuola pubblica hanno dichiarato la loro preferenza per la didattica mista (51% contro il 36% degli insegnanti della scuola privata), mentre quelli della scuola privata propendono per le lezioni in presenza (55% contro 42).

Commenta Gianna Fracassi, segretaria confederale della Cgil: «Come hanno segnalato anche le categorie, c’è un problema legato al concorso bandito dal ministero in piena fase due del Covid, che avrebbe richiesto una maggiore speditezza; ma soprattutto occorre affrontare il problema strutturale degli organici, quelli di diritto e quelli di fatto, per cui ogni anno si parte a gennaio con certi numeri che poi inevitabilmente a settembre si gonfiano amplificando il fenomeno dei precariato. La soluzione? Bisogna fare un po’ di programmazione, non dovrebbe essere difficile - risponde la sindacalista - ed occorre stabilizzare tutti i precari. E in questo modo si potrebbe anche garantire una maggiore qualità della scuola».


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