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Dad, prestazione e durata dubbie

I docenti delle scuole chiuse dovranno lavorare da casa, ma non si sa come e per quanto

27/10/2020
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ItaliaOggi

Marco Nobilio

I docenti delle scuole in lockdown saranno obbligati a lavorare a distanza, ma non si sa come e nemmeno per quanto tempo. Nel contratto integrativo sulla didattica a distanza, firmato domenica da Anief, Cisl e amministrazione (Cgil, Uil, Gilda e Snals non lo hanno firmato) manca l'esplicitazione della prestazione e anche la durata. In buona sostanza, il testo dell'accordo difetta di uno degli elementi essenziali del contratto: l'oggetto. Che secondo quanto previsto dall'articolo 1346 del codice civile, deve essere possibile, determinato o determinabile. Nel testo negoziale, invece, non vi sono clausole (articoli) che spiegano esattamente cosa debbano fare i docenti nel corso della didattica a distanza e nemmeno per quanto tempo. Salvo un mero riferimento alle linee guida emanate dal ministero dell'istruzione con il decreto 39/2020.

Il testo, peraltro, non reca alcun riferimento all'orario di lavoro utilizzando in sua vece la locuzione «orario di servizio». Una scelta che rischia di ingenerare ulteriore confusione. L'orario di servizio, infatti, è regolato dall'articolo 22, della legge 724/94. E comprende il tempo durante il quale l'istituzione scolastica eroga il servizio pubblico al quale è preposta. Vale a dire: l'implementazione del diritto all'istruzione. L'orario di servizio include l'orario di apertura al pubblico che, nel caso specifico, fa riferimento all'orario delle lezioni.

L'orario di lavoro, invece, è regolato dall'articolo 2 della direttiva europea 93/104/CE, il quale dispone che per orario di lavoro si intende «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali». Non è chiaro nemmeno il mezzo con il quale i docenti dovranno provvedere all'erogazione della prestazione (che rimane indeterminata) e nemmeno il luogo della prestazione. L'articolo 2 dell'ipotesi di accordo si limita a dire che la prestazione didattica a distanza dovrà essere erogata con «gli strumenti informatici o tecnologici a disposizione».

Formula vaga che non consente di individuare strumenti tipici, né le necessarie forme di tutela del diritto alla sicurezza sul lavoro dei lavoratori. Giova ricordare, peraltro, che l'Inail ha stabilito che l'utilizzo abituale delle attrezzature informatiche comporta l'obbligo per l'amministrazione di provvedere alla copertura assicurativa degli insegnanti (https://www.inail.it/cs/internet/un_insegnante_di_scuola_pubblica_che_utilizza_il_registro_el.html). Il contratto, peraltro, prevede anche che «ai fini della rilevazione delle presenze del personale e degli allievi è utilizzato il registro elettronico». Anche tale previsione è priva della necessaria copertura legale.

Il registro elettronico, infatti, è atipico. Pur essendo previsto dall'articolo 7 del decreto-legge 95/2012, il legislatore ne aveva vincolato l'introduzione e l'utilizzo alla previa emanazione, da parte del ministero dell'istruzione, di un Piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti, del personale, studenti e famiglie. Tale piano avrebbe dovuto essere emanato entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione. Ma ciò non è ancora avvenuto. A questo proposito, la V sezione penale della Cassazione, con la sentenza 47241/ 2019 ha spiegato che «detto piano non risulta essere stato predisposto, vanificando di fatto il processo normativo e, dunque, rendendo non obbligatorio l'utilizzo del registro e pagelle elettroniche».

Il comportamento omissivo del ministero dell'istruzione è stato posto in luce anche dal garante della privacy in una lettera inviata il 4 maggio scorso alla ministra Lucia Azzolina. Resta indeterminato anche il luogo della prestazione. La proposta di contratto, infatti, non dice espressamente se la prestazione a distanza va erogata dal docente presso la propria abitazione oppure presso l'istituzione scolastica. E ciò contribuisce ad incrementare il clima di incertezza che ruota intorno alla didattica a distanza già dai tempi del primo lockdown. Taluni dirigenti scolastici, peraltro, in assenza degli alunni, hanno ritenuto di imporre ai docenti di provvedere alla didattica a distanza presso l'istituzione scolastica. Come, per esempio, il dirigente dell'istituto tecnico tecnologico «Giacomo Fauser» di Novara con la circolare 41 del 23 ottobre scorso.

Infine, nella bozza di accordo si fa riferimento agli obblighi che i docenti e gli studenti devono osservare nell'utilizzo degli strumenti informatici al fine e durante la didattica a distanza. Ma manca del tutto l'esplicitazione di tali obblighi e con essa la disciplina sostanziale delle sanzioni disciplinari da applicare in caso di inadempimento. L'individuazione della disciplina sostanziale viene, infatti, posta in carico alle istituzioni scolastiche e cioè sembrerebbe in contrasto con le norme del decreto legislativo 165/2001, che assegnano alla contrattazione collettiva la materia della definizione dei comportamenti antidoverosi da collegare alle sanzioni.


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