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Serve un piano nazionale per la scuola

Il quadro che, giorno dopo giorno, si sta delineando nella scuola italiana è chiaro quanto desolante. La scuola sta scivolando inesorabilmente verso una totale ripresa della didattica a distanza.

Al momento è persino impossibile stabilire quante scuole e classi stiano lavorando in presenza e quante a distanza, poiché all’arlecchinata delle regioni si aggiungono quotidianamente situazioni locali di chiusure di singole scuole o di piccoli gruppi di istituti.

Ciò che è chiaro, invece, è che la ripresa scolastica nelle forme previste dal Ministero è fallita, avendo retto poche settimane all’impatto della nuova ondata della pandemia. Settimane in cui, peraltro, l’attività si è svolta in modo caotico, con la mancanza di migliaia d’insegnanti e di collaboratori ATA, in spazi costretti e senza indicazioni chiare.

L’impegno del personale della scuola per una ripresa della didattica in presenza è stato indiscutibile, ma alla fine è accaduto quanto si è verificato per la sanità, vale a dire che la buona volontà dei singoli non può supplire alla disorganizzazione istituzionale.

Così, ci si trova oggi di fronte a una constatazione che non avremmo mai voluto fare: le scuole non sono sicure o almeno non lo sono abbastanza. Questo per almeno due ragioni: la scuola non è una bolla isolata dal contesto sociale, ma interagisce con tutti gli altri settori d’attività e di servizi; inoltre il Ministero ha completamente sbagliato politica ignorando che la scuola necessita che vengano avviati interventi strutturali e non palliativi.

Anzitutto, la ripresa scolastica avrebbe dovuto essere sostenuta dall’interazione con i servizi sanitari, per un controllo preventivo e con un pronto intervento sulle situazioni di positività.

Il tragico stato della sanità territoriale è sotto gli occhi di tutti ed è una delle cause della perdita di controllo sulla pandemia; un servizio in questo stato non può essere buon partner della scuola. Inoltre, mettere in movimento ogni giorno dieci milioni di persone che vanno a scuola, spesso anche con situazioni di pendolarismo, avrebbe richiesto trasporti pubblici efficienti e sicuri.

I trasporti pubblici sono invece diventati una delle più pericolose cause di contagio. Non serve a nulla cercare di garantire la sicurezza nelle scuole se studenti e personale rischiano di ammalarsi sui mezzi con cui ci vanno. La realtà è quindi chiara: ciò che non ha funzionato, a causa delle inefficienze governative, è la triangolazione scuola-sanità-trasporti che sola avrebbe potuto consentire una ripresa e un anno scolastico regolare.

Dal punto di vista degli interventi specifici del Ministero dell’Istruzione sulla scuola è mancata, non casualmente, una visione politica di prospettiva capace di contemperare emergenza e rilancio dell’istituzione nel suo complesso.

Scriviamolo con chiarezza: dopo trent’anni di definanziamenti, di politiche di sussidiarietà pubblico-privato, di riduzione degli organici, di innovazione ridotta all’asservimento alle imprese, nemmeno se Lucia Azzolina fosse stata Superwoman avrebbe potuto mutare la situazione in pochi mesi.

Però ciò che si sarebbe potuto utilmente fare sarebbe stato prendere atto dell’idiozia suicida delle politiche degli ultimi trent’anni e avviare un serio piano d’interventi che invertisse la rotta.

Al contrario, la Ministra ha centrato tutto sull’emergenza a breve, prevedendo tra l’altro interventi che si sono rivelati inutili, simbolo dei quali è il tormentone estivo sui banchi a rotelle, sul destino dei quali è sceso un silenzio glaciale.

Il Ministero non ha fatto che riempire giornali e televisioni di chiacchiere e di rapporti inutili stilati dai diversi organi di volta in volta messi in piedi: la ”Commissione Bianchi” il “Comitato tecnico scientifico” e altri, come le “Conferenze regionali di servizio” che avrebbero dovuto stendere i “Patti educativi di comunità” che non hanno nemmeno visto la luce.

La linea guida del Ministero è sempre comunque stata quella di confermare le scelte verso la sussidiarietà, la presenza dei privati nella scuola e la famigerata autonomia scolastica, da anni cavallo di Troia dell’aziendalizzazione del sistema.

Il continuo ricorso alla delega alle regioni, ai Comuni (con l’attribuzione di inutili poteri commissariali ai sindaci) e persino alle singole istituzioni scolastiche, in mancanza di una chiara guida centralizzata e di precisi impegni politici e finanziari, ha portato a una situazione di caos gestionale che è diventata presto paralisi.

Scrivevamo che sarebbe servito dare avvio a un piano di impegni strutturali, per esempio nel campo dell’edilizia scolastica, ma si è preferito cianciare di lezioni nei musei, nei parchi, nei cinema senza fare nulla di concreto.

Quanto all’assunzione di nuovo personale, la Ministra Azzolina ha preteso di indire un pericoloso quanto inutile concorso per assumere in ruolo chi ne aveva già diritto per legge, che oggi si può solo sperare sia annullato verso una soluzione più ragionevole d’immediata immissione in ruolo dei precari.

Per quanto concerne la Didattica a Distanza, per la quale mi rifiuto di usare la locuzione Didattica Digitale Integrata, perché ciò presuppone appunto l’integrazione tra strumento digitale e insegnamento in presenza, che al momento è impossibile, è evidente che già da mesi il Ministero, in assenza di qualunque progetto valido, meditava un suo massiccio impiego almeno per le scuole medie superiori.

Questo è testimoniato da mille dichiarazioni rilasciate durante l’estate da esponenti del ministero, dall’obbligo per le scuole di inserirla nei PTOF, infine dalla stipula di un pessimo contratto integrativo degli insegnanti per la didattica digitale, sinora firmato solo dalla CISL, dalla CGIL e dall’ANIEF (l’associazione professionale di cui era attivista la Ministra Azzolina).

La verità è che il ritorno alla didattica a distanza, per le scuole superiori, era dato per scontato dal Ministero, in mancanza di spazi e di personale alla cui carenza non si è voluto porre rimedio.

Tuttavia, se nelle stanze del Ministero si dava per certo il ritorno alla didattica a distanza, nemmeno su questo punto è esistita una regia centrale che avviasse almeno la realizzazione di un adeguato strumento di gestione, vale a dire una piattaforma pubblica nazionale di cui le scuole possano servirsi.

Le scuole continuano così a usare, in nome dell’autonomia, cioè nel più completo caos decisionale, le piattaforme proposte dalla GAFAM1, che lucrano su queste attività, s’impadroniscono di dati personali per utilizzarli ai propri fini commerciali e pubblicitari e impongono i propri software.

In pratica, la ministra Azzolina ha sprecato mesi preziosi e la scuola non ha fatto passi avanti da aprile a oggi. Non si è voluto avviare alcun progetto di riqualificazione della scuola pubblica e nessuna riflessione su decenni di obbrobri ormai palesi.

La pandemia richiama l’urgenza della fine della vergogna del precariato che costituisce non solo un oltraggio alla dignità dei docenti ma anche un limite alla qualità della didattica poiché ne riduce la continuità e fa perdere ogni anno settimane di scuola agli studenti. Inoltre è necessario avviare un grande progetto di edilizia scolastica in un paese in cui gli istituti sono alloggiati in edifici dalle condizioni troppo spesso precarie.

Ma ciò non è sufficiente poiché si deve anche riflettere sui guasti provocati dalla politica di aziendalizzazione delle istituzioni scolastiche seguita tra l’altro all’autonomia scolastica. Tale politica ha posto le scuole in competizione tra loro in una gara poco edificante per accaparrarsi studenti e finanziamenti, secondo criteri che hanno spesso poco a che vedere con la buona formazione del cittadino.

Tale politica ha anche scosso lo statuto professionale dei docenti, esposti ai ricatti commerciali e sottoposti a dirigenti-manager e non a coordinatori della didattica. Il rapporto con le imprese private ha condizionato, nelle scuole superiori, la didattica e la sperimentazione, con la riduzione del ruolo dei saperi a vantaggio dell’acquisizione di competenze immediatamente spendibili sul mercato del lavoro flessibile.

Tutto ciò ha indebolito il sistema formativo e aumentato le disuguaglianze tra regioni, città, scuole e infine tra i singoli studenti. Tali disparità non sono dovute solo alla didattica a distanza, ma quest’ultima le ha evidenziate e soprattutto accresciute.

Per questo, anche l’idea di un massiccio ritorno a questa modalità di didattica, che ormai è vista dal Ministero non solo come emergenza ma come prospettiva futura, non può non inquietare, perché è ben noto che essa tende ad aumentare il divario formativo e culturale dovuto alle differenze di classe.

Nella scuola si tratta quindi di riflettere su due piani. E’ evidente che siamo di fronte a un’emergenza immediata e che si prospetta una situazione drammatica, che potrebbe vedere gli studenti privati per mesi, forse per un intero anno scolastico, della vera scuola.

Però proprio per questo, è anche vero che i problemi posti dalla pandemia devono essere affrontati con una prospettiva di lungo termine, che restituisca centralità e impulso alla questione dell’educazione e della formazione nella nostra società, con il rilancio di un sistema nazionale unico e paritario di formazione che cancelli per sempre particolarismi ed egoismi regionali e locali.

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